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La realtà in cui viviamo, pluralistica, multietnica ed eterogenea, ha fornito terreno fertile per lo sviluppo, dal ritmo crescente e incalzante, di nuove e sofisticate tecnologie sempre più emulative delle effigie e delle fattezze umane e, finanche, dei percorsi cognitivi dell’uomo. Ad oggi l’intelligenza artificiale registra uno spostamento del giudizio umano dal pensiero all’algoritmo che si traduce in un’esternalizzazione delle nostre strategie cognitive, cui fa da contrappeso un loro indebolimento in noi stessi. Il rischio è che anche i dati interni dei nostri sentimenti e del nostro ragionamento possono essere acquisiti automaticamente, generando una vera e propria industrializzazione dell’essere umano. Nell’algoritmo, infatti, non è solo il referente a scomparire ma, altresì, l’interiorità della persona; l’uomo assistito digitalmente subisce una deminutio in quanto viene sopraffatto dall’Intelligenza Artificiale che ne potenzia i mezzi a disposizione. Ciò considerato, appare interessante valutare se un meccanismo algoritmico che conduca ad una decisione giudiziaria robotica possa confacersi – ancor più con riguardo al contribuente “religioso” – con l’attuale sistema processual-tributario, muovendo dal progetto Prodigit che, nell’ottica di migliorare la prevedibilità delle decisioni, evidenzia l’importanza di fornire al giudice tributario un repertorio decisionale potenziato da una massiccia massimizzazione della giurisprudenza di merito a cui, tuttavia, rischia di sfuggire il sostrato etico e religioso che, di regola, permea gli individui.