Le modifiche apportate all’art. 614-bis c.p.c. si inquadrano tra gli interventi più interessanti e controversi della riforma Cartabia.
La novità di assoluto rilievo è rappresentata dall’attribuzione del potere di astreinte al giudice dell’esecuzione.
La presenza dell’organo esecutivo sulla scena delle misure coercitive rilancia la querelle sulla natura del rimedio e ne suggerisce una rilettura volta a ricercare soluzioni nuove ai problemi interpretativi che da sempre rendono vischiosa la disciplina.
La varietà di posizioni registrate in dottrina impone di rivedere i termini del dibattito e di individuare un inquadramento in grado di assicurare l’equilibrio fra tutte le proiezioni processuali dell’istituto, non solo nel circuito del giudizio di cognizione, anche nella sede esecutiva, in quella cautelare e in arbitrato.
Ma non è questa l’unica sfida della nuova astreinte.
L’art. 614-bis c.p.c. presenta difetti di costruzione che rendono complessa la rilettura del fenomeno.
La disposizione non delimita il confine tra la competenza dei giudici della cognizione e dell’esecuzione, non definisce l’accertamento condotto in ambiente esecutivo, mette in ombra il giudice della cautela e non risolve la questione relativa alla compatibilità delle astreintes in arbitrato.
Al contempo ripropone i limiti dell’intelaiatura originaria e conferma il paradigma dell’autoliquidazione, pregiudicando la prospettiva dell’esecuzione cross-border.
L’opera intende affrontare questi aspetti nel tentativo di dissolvere le opacità che si addensano attorno alla norma e di mettere in chiaro i profili che necessitano di una più attenta rimeditazione.