La legge fallimentare, disciplinata dal Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, è stata emanata in un contesto socio ecominco nel quale le dimensioni delle imprese erano contenute, le dinamiche commerciali più locali e l’impresa era concepita come un bene prettamente ed indiscutibilmente dell’imprenditore il quale, in caso di dissesto, era soggetto a particolari e pesanti conseguenze che poteva eventualmente mitigare attraverso la procedura minore di concordato preventivo se ed in quanto meritevole di accedervi.Il fallimento era concepito principalmente con fini liquidatori cioè rappresentava il modo di liquidare, contro la volontà del soggetto, dell’intero patrimonio del fallito affidata al curatore sotto la direzione del giudice delegato attraverso procedure particolari per arrivare alla soddisfazione, se pur parziale, dei creditori nel rispetto del principio della par condicio creditorum.Agli inizi degli anni ’80, e quindi dopo mezzo secolo, si è sentita la necessità di riformare la legge fallimentare per renderla più aderente alla realtà socio economica nella quale le imprese, cresciute di numero e di dimensioni, si muovevano in un mercato più ampio e moderno.Dopo vari tentativi la riforma, anche se limitatamente al concordato preventivo e alla revocatoria fallimentare (mini riforma), vede la luce con il D.L. 16 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.La “riforma organica” della legge fallimentare, che come il D.L. 35/2005, modifica e integra il Regio Decreto 267/1942, è portata dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in vigore dal 16 luglio 2006.La legge fallimentare che, salvo piccole modifiche, ha disciplinato per oltre sessanta anni le procedure concorsuali, non ha comunque trovato la sua definizione con la riforma organica poiché successivamente sono intervenute modifiche di non poco conto portate dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 “decreto correttivo”.Ulteriori modifiche sono state apportate dall’art. 32, comma 5, lettere a) e b) del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 converito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2; dall’art. 61 della legge 18 giugno 2009, n. 69; dall’art. 29, comma 2, lettera a), b) e c), del D.L. 51 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.È necessario segnalare che con la nuova legge fallimentare, come attualmente strutturata, tra l’altro:— prevede che non esista più il fallimento d’ufficio;— ha confermato l’esclusione dal fallimento del piccolo imprenditore definito in base a parametri numerici (investimenti e ricavi);— ha introdotto una filosofia nuova secondo la quale l’impresa non è più concepita come un bene strettamente dell’imprenditore ma come un bene della collettività e, come tale, meritevole di essere salvaguardato e tutelato nell’interesse di questa;— ha ridistribuito, in maniera rilevante, i poteri tra gli organi fallimentari.In relazione a quest’ultimi si deve rilevare che il giudice delegato non ha più la direzione della procedura ma il medesimo esercita il potere di vigilanza e di controllo formale sull’attività del curatore.Dopo le modifiche il curatore è sicuramente la figura di maggior rilievo e responsabilità nel fallimento, al quale spetta la gestione del patrimonio anche se sotto il controllo e la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori al quale è demandate anche il potere autorizzativo.La riforma ha assegnato al comitato dei creditori un ruolo molto importante affidandogli il potere di controllo e di vigilanza nonché quello di autorizzare una molteplicità di atti tra i quali l’approvazione del piano di liquidazione che in sostanza è il manifesto dell’attività (modalità e termini) che il curatore intende porre in essere nel corso della procedura.Con la riforma il curatore, da una parte ha assunto una maggiore responsabilità, dall’altra non può più contare nella “protezione” del giudice, deve avere maggiore professionalità per gestire correttamene la procedura e portare a termine la stessa in tempi rapidi anche per non incorrere in responsabilità ai sensi della legge Pinto.Il professionista chiamato ad assumere la carica di curatore deve avere competenze specifiche e adeguata organizzazione in relazione all’attività da svolgere, in particolare:— la capacità di valutare aziende, per decidere in merito alla necessità/opportunità di chiedere l’esercizio provvisorio o di procedere all’affitto in quanto strumentali e fondamentali per la conservazione della stessa e quindi una migliore realizzazione che ha notevoli riflessi per i crediti;— la capacità di valutare i contratti in corso di esecuzione al fine di decidere sulla facoltà di sciogliersi;— la capacità di valutare le eventuali offerte dei beni singoli che necessitano di essere esitati velocemente;— le competenze giuridiche necessarie per redigere la relazione ex art. 33 l..f. e predisporre il programma di liquidazione ex art. 104 ter l.f., documenti nei quali, tra l’altro, devono essere indicate: eventuale responsabilità e le relative azioni da intraprendere; gli atti potenzialmente da revocare e quelli ritenuti inefficaci;— le competenze giuridiche necessarie per valutare l’estensibilità del fallimento ad altri soggetti (soci occulti e/o receduti);— le competenze giuridiche per individuare esattamente il patrimonio soggetto alla procedura nonché per l’accertamento del passivo dovendo esaminare attentamente le domande di ammissione sollevando le eventuali eccezioni;— le competenze di natura fiscale per gestire l’enorme mole di adempimenti sia in materia di imposte dirette, imposte indirette, imposta regionale sulle attività produttive, imposta comunale sugli immobili ed in qualità di sostituto d’imposta;— la capacità di valutare, nell’interesse dei creditori, proposte di concordato fallimentare;— la competenza per fornire all’autorità giudiziaria, nel caso di fallimento di persona fisica, il parere sulla richiesta avanzata dal medesimo per usufruire dell’istituto dell’esdebitazione regolata dall’art. 142 l.f.La competenza richiede una specifica specializzazione ed un costante aggiornamento.È necessario, quindi, che il soggetto sia chiamato a ricoprire la funzione con una certa cadenza per evitare la perdita della professionalità acquisita.
L’organizzazione è importante in relazione alle dimensioni dell’incarico poiché le attività che il curatore deve svolgere, con responsabilità diretta per la particolare natura unipersonale dell’incarico è molto impegnativa ed il medesimo pur efficiente e laborioso che sia non è in grado di assolvere a tutti i gravosi e variegati compiti che gli vengono addossati con la dichiarazione di fallimento e che prima venivano svolti dai diversi soggetti all’interno dell’impresa in bonis.Parte I